

Mi colpisce la stanchezza che vedo oggi tra gli operatori sanitari. Medici e infermieri che durante la “prima ondata” (da febbraio a maggio 2020) hanno lavorato nella prima linea dei reparti Covid-19. Vivendo, molto spesso in prima persona, diversi eventi traumatici.
Il ricordo di quelle ore impotenti e imponenti sembra già appartenere a un’epoca molto lontana.
Nudi, davanti alla malattia, senza avere ancora terapie, oggi hanno la possibilità di proporre diverse soluzioni farmacologiche. Restano, però, emotivamente nudi davanti ai nuovi pazienti che arrivano gravemente malati. Rivedono l’incubo di turni di lavoro di 15 ore al giorno, con la paura di ammalarsi e di morire. Perdendo il conto delle troppe morti. Quelle di prima confuse con quelle attuali.
Per molti operatori sanitari il ricordo di quei giorni si manifesta sottoforma di incubi notturni ripetitivi, inibizione psicomotoria, ansia e altro che arriva a impedire la “vita di prima”.
Diremo che hanno sperimentato i sintomi dello stress post traumatico.
La prima ondata è stata vissuta all’interno di un grande fenomeno emotivo di massa, che ha contribuito, positivamente, a sostenerli e ad aiutarli. Un entusiasmo che li ha spinti a compiere, per tutti, un’operazione salvifica, onnipotente. Ben oltre i confini del proprio mestiere e con connotati equiparabili a quelli di una impresa eroica. Erano gli eroi.
L’evento traumatico, però, diviene veramente tale solo in un momento di successiva elaborazione intrapsichica, che durante la prima ondata non sarebbe stato possibile.
Il trauma, la ferita, la lacerazione, si è fatto sentire in estate, durante l’intervallo tra le due ondate, quando si è avuto un breve di tempo per pensare a quanto accaduto.
In un contesto sociale ben diverso dal precedente.
Da eroi, gli operatori sanitari della prima linea sono passati a essere accusati e denunciati, o più semplicemente dimenticati. Un nuovo veloce cambiamento del contesto sociale, avvenuto nel momento in cui stavano elaborando il trauma della “prima ondata”. Un contesto che li ha costretti a una accelerazione, questa volta in negativo, dell’esigenza di “tornare alla normalità”. Una necessità di dimenticare velocemente quanto accaduto durante la prima ondata.
Avanti tutta! dimenticare, rimuovere. Difese primitive e spesso incapaci di curare l’effetto della ferita traumatica. La preoccupazione nazionale erano le vacanze e le discoteche. I giovani in Sardegna.
La necessità di dimenticare velocemente è stata un ulteriore imprevisto, un rapido cambiamento che ha costretto gli operatori sanitari a modificare, ancora, l’assetto mentale.
Cosa accade, però, ora che la rimozione viene messa in discussione da una “seconda ondata”?
L’aumento del numero dei pazienti Covid-19 ha riattivato, in pochi giorni, il senso di impotenza provato durante la prima ondata. Riaprendo una ferita non del tutto curata per cui non sono ancora pronte le difese necessarie alla protezione dai nuovi accadimenti che risultano schiaccianti perché, per la maggior parte dei casi, non possono essere ancora compresi ed elaborati.
Quali sono le paure del passato e quali, invece, quelle del presente?
Oggi gli operatori sanitari rischiano di essere invasi da risentimento e rancore. Sentirsi vittime di ingiustizie perchè costretti ancora una volta a un sacrificio fuori misura.
Una sensazione che colpisce anche molti di noi che vediamo avanzare un tempo molto lungo senza apparenti vie di uscita. Se non l’attesa di una nuova estate.
Credo occorra creare nella nostra mente una “barriera protettiva” molto potente per difenderci e preservarci da quanto accade nel mondo esterno, cercando di contiunare a immaginare e sognare la nostra vita. Tenendo conto della difficile situazione esterna ma senza smettere di provare a realizzare i nostri sogni. Anche se deve mutare necessariamente la forma e la strada per raggiungerli.