L’Organizzazione Mondiale della Salute afferma che il logoramento psicologico da pandemia (Pandemic Fatigue) riguarda il 60% della popolazione europea. Una revisione in letteratura realizzata su 3.166 ricerche scientifiche da The Lancet (The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence) ha mostrato come l’isolamento può causare depressione, insonnia, ansia, frustrazione e molte altre conseguenze sgradevoli. Alcuni sintomi possono protrarsi nel tempo.
Si iniziano ad evidenziare aree di sovrapposizione tra il logoramento psicologico da pandemia e il più studiato logoramento emotivo (burnout). Nel secondo caso (come nel primo) è fondamentale essere inseriti in un chiaro assetto organizzativo e avere la sensazione di un ambiente protettivo che ci circonda. Purtroppo nel logoramento da pandemia l’ambiente che ci circonda non riesce spesso a essere fonte di stabilità (mutamenti improvvisi delle regole, difficoltà oggettive a beneficiare dei servizi fondamentali durante la quarantena – si pensi al tampone…).
Occorre quindi cercare – nei limiti del possibile – di organizzare le nostre vite nella nuova situazione e cercare di spostare l’attenzione nel nostro mondo interno, creando le condizioni per cui si riesce a sentire e comprendere che quanto sta accadendo è una parentesi drammatica destinata a terminare.
Provare ad “allungare il pensiero” e immaginare la nostra vita alla fine di questa pandemia potrebbe essere una delle condizioni che ci aiutano a creare delle oasi in cui trovare ristoro.
Avere la possibilità di un confronto aperto con le persone che vivono insieme a noi potrebbe essere un primo passo per condividere pensieri e sentimenti che stanno interessando tutti noi.