Potremmo chiamarla “frustrazione da videochiamata”. Una senzazione di affaticamento che colpisce chi lavora in smart working e trascorre molte ore in riunioni attraverso piattaforme come Zoom, Skype e Teams. Un affaticamento che colpisce anche i bambini e i giovani che studiano in didattica a distanza. Perché troviamo le videochiamate così faticose?
Albert Mehrabian, uno psicologo statunitense, docente presso l’University of Los Angeles, nota anche come UCLA, lo spiega con una semplice immagine che mostra cosa accade in una conversazione attribuendo percentuali: alle parole (7% verbale), al timbro della voce, al ritmo della conversazione (38% para-verbale) e a tutto ciò che non è verbale, come la postura e i gesti (55% non-verbale).
L’immagine dice che quando siamo in zoom (e sulle altre piattaforme digitali) continuiamo a processare anche il 55% della comunicazione senza grandi risultati, se non un grande affaticamento.
La comunicazione non verbale rappresenta un mezzo per cogliere il messaggio reale e nascosto che in taluni casi non viene esplicitato. Durante una video chiamata i soli sensi coinvolti sono l’udito e la vista. Tutta la comunicazione non verbale è sottoutilizzata o non utilizzata. Il tentativo di processare anche il 55% della comunicazione non verbale comporta uno sforzo enorme che automaticamente viene attivato durante la video-comunicazione. Siamo abituati così.
Pensala in questo modo: quando sei seduto con il tuo interlocutore in presenza, cogli molti segnali che non possono arrivare dietro lo schermo di un device. Oggi occorre muoversi in modo differente per ridurre la fatica alla fine di una giornata.
Cosa possiamo fare? il discorso è interessante, se vuoi approfondire scrivimi a damianorizzi@damianorizzi.com