La comunità scientifica negli ultimi mesi ha dato, giustamente, grande rilevanza a un articolo pubblicato da Ruth Feldman dell’Università di Yale (Yale Child Study Center, University of Yale, New Haven, CT, USA) sulla prestigiosa rivista World Psychiatry.
Feldman mostra come la resilienza sia il frutto dell’evoluzione della mente e non solo la negazione, cioè, l’assenza di sintomi a seguito di un evento stressante o di un trauma.
Da quando siamo nel corpo di nostra madre, dalla relazione con i nostri genitori e con le persone che si sono prese cura di noi, per proseguire all’interno di tutti i sistemi e processi che abitiamo sin dalla nostra infanzia, il nostro percorso di vita ci porta, in ogni momento, a sintonizzare la nostra mente con quella degli altri.
La bella notizia è che il punto di partenza siamo noi, in qualsiasi momento. Questo significa che, anche se il nostro passato ci ha visti creare difese alla sintonizzazione, è sempre possibile iniziare a sintonizzarsi. A partire da adesso!
La resilienza, solitamente definita come risultato positivo nonostante le avversità, è quindi il risultato finale di un processo di maturità della mente umana a cui tutti noi possiamo pensare di avvicinarci.
Se mettiamo attenzione alle nostre storie di vita, probabilmente almeno una volta abbiamo affrontato una difficoltà con coraggio e perseveranza, mantenendo una visione positiva in una circostanza difficile. Se lo abbiamo fatto una volta lo possiamo fare ancora.
Gli individui resilienti, sono quelli che intendono crescere mentalmente partendo dalle loro esperienze di vita, condivise con il loro gruppo sociale a cui sentono di appartenere.
Leggi l’articolo originale in World Psychiatry.
