L’attuale emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 impone a tutti noi le più restrittive misure alle interazioni interpersonali. Questo blocco rigoroso e duraturo di isolamento sociale si traduce in un aumento del livello di solitudine percepita. La solitudine, definita come il dolore mentale di sentirsi soli, è una condizione psicologica caratterizzata da un profondo senso di vuoto e inutilità, mancanza di controllo e sensazione di sentirsi minacciati a livello personale. Sentire il dolore dell’essere soli può portare a più gravi problemi di salute fisica e mentale come Internet dipendenza, ideazione suicidaria e uso di sostanze. La solitudine sembra anche collegata a sintomi di interiorizzazione come depressione sia negli adolescenti che negli adulti, ansia generalizzata e ansia sociale.
Uno studio italiano, coordinato dalla Prof.ssa Patrizia Velotti, condotto su 1.323 soggetti (nel primo lockdown a marzo 2020) e 308 (a fine lockdodwn a maggio 2020) intervistati dal Dipartimento di Psicologia Dinamica dell’Università La Sapienza di Roma (a cui ha collaborato anche Fondazione Soleterre) pubblicato in Frontiers in Psychiatry contiene interessanti dinamiche tra il ruolo delle strategie di regolazione delle emozioni, come mediatore della solitudine, e delle conseguenti manifestazioni di sintomi.
Lo studio evidenzia il ruolo centrale del supporto sociale nella resilienza allo stress. La mancanza di percezione sociale di sostegno, associato alla solitudine, probabilmente aumenta la sensazione di essere più facilmente sopraffatti da minacce esterne, come problemi di salute, perdita del lavoro o violenza domestica.
Come ampiamente dimostrato dalla teoria polivagale di Stephen W. Porges, la sensazione di sicurezza ha un potere trasformativo nelle nostre vite. Il coinvolgimento sociale e la creazione di legami è messa a dura a prova dall’attuale situazione di contenimento pandemico e occorre quanto prima intraprendere azioni globali per aiutare le persone a sentirsi al sicuro, come ad esempio l’attivazione di un sostegno psicologico di base a tutta la popolazione.
Lo studio dimostra, altresì, che i giovani mostrano più elevati livelli di stress poiché hanno dovuto abbandonare la loro vita quotidiana, a causa della chiusura di scuole e università, in una delle fasi di vita in cui il compito evolutivo di mostrare la propria dimensione pubblica è stato fortemente ridimensionato. Allo stato attuale la mancanza di progetti di supporto psicologico per tali target di popolazione è un atto di grave trascuratezza istituzionale. I giovani, specie adolescenti, si confermano come i grandi dimenticati della pandemia.